Presentiamo uno degli articoli più interessanti e profondi che abbiamo inserito fino ad ora. Raccomandiamo di leggerlo, ma soprattutto di tornare a leggerlo in futuro, per non perdere l’àncora che dovrebbe tenere saldi, in una fase storica burrascosa, i principi e le valutazioni di fondo dei progressisti del XXI secolo. Tristemente, ma nel contempo per fortuna, da ormai troppi anni, le citazioni più acute e l’omaggio al sempre attuale Antonio Gramsci, ci arrivano solo da Cuba e per osmosi dai paesi latinoamericani. Vergogna ai perdenti e divisissimi “politici di sinistra” italiani!

Immagine tratta da Rebelión
(testo: NON DIMENTICARE! L’IMPORTANTE NON E’ SOLO CAPIRE IL MONDO IN UN ALTRO MODO, MA ANCHE FARE QUALCOSA PER CAMBIARLO)
Quando Antonio Gramsci fondò il Partito Comunista nel 1921, indicò l’establishment(1) come un nemico di classe, e il suo percorso non si fermò finché non cadde in un processo politico organizzato dal fascismo dominante, dove il magistrato dichiarò il “cervello” dell’intellettuale colpevole di tutte le accuse e “degno di 20 anni di condanna“.
di Mauricio Escuela*
Anni fa, quando ho sentito parlare per la prima volta della filosofia come la totalità del reale, sono rimasto stupito davanti alla caduta dei paradigmi morali e delle architetture del pensiero. Una di queste barriere era la convinzione che il materialismo si riferisce unicamente al palpabile e che l’idealismo è circoscritto all’invisibile. Con una rapidità propria dei dialoghi platonici, quello studente che ero (e continuo a essere) vide l’obiettività dell’ideale, ossia, il carattere concreto e storico della cultura.
In quell’orizzonte apparve Gramsci, un marxista italiano dell’inizio del secolo scorso, che leggeva Marx da Hegel, cioè, attraverso il prisma dello spirituale, per rivendicare l’uomo totale e il suo pensiero della totalità dell’esistente. Lo lessi fuori dei piani di studio, lo discussi nel corso di serate nella mia stanza universitaria, entrai al gruppo di coloro che assumono la storia come una creazione umana e, pertanto, come qualcosa di suscettibile di essere fatta nella maniera più giusta possibile.
Da allora, un concetto mi accompagna ogni volta che analizzo questioni sociali, quello dell’intellettuale organico, quella visione di Gramsci su tutti gli uomini come creatori e dei Prometeo del loro destino; un atto che anche liberato il pensiero di sinistra di certo accento positivista e paralizzante che prosperava nelle accademie della fine del secolo XIX. Per questo, Gramsci disse di Marx che non era un filosofo, poiché l’uomo di Treviri si comportava più come l’intellettuale organico che, spostato da una classe all’altra, era capace di creare una storia, una natura.
Tornare a Marx, al rivoluzionario e al giornalista, a colui che aveva previsto tante insidie della lotta della sinistra, è assumere il concetto gramsciano che l’uomo lavora la natura, che è il suo divenire, e vi imprime il suo sigillo, e non il contrario.
Questo ultimo somiglia molto al processo di auto-conoscenza dell’idea assoluta di Hegel che raggiunge nell’uomo e nel pensiero il suo culmine, solo che per Gramsci quella storia era emancipatrice e non poteva finire nell’aula di nessuna accademia.
Quello che fa un intellettuale organico.
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